LIVATINO: IL VALORE DI UNA RELIQUIA

LIVATINO: IL VALORE DI UNA RELIQUIA

SINOSSI:
Questo testo offre una profonda riflessione sul valore dell’impegno, dell’onestà e del coraggio civico attraverso la figura del giudice Rosario Livatino. Mette in luce come la sua vita esemplare e la sua tragica morte diventino simbolo di resistenza contro la mafia e l’ingiustizia. Invita le nuove generazioni a non dimenticare, a riflettere e ad agire con responsabilità e coraggio. La storia commuove e lascia un messaggio chiaro: il cambiamento comincia dall’esempio personale.

LIVATINO: IL VALORE DI UNA RELIQUIA

Oggi, giorno 30 aprile del 2022, Don Gero Manganello ha tenuto una conferenza che ha sorpreso e incantato gli alunni delle classi terze della scuola media Vann’Antò. 

Il suo discorso è iniziato con una semplice domanda: -sapete cos’è una reliquia, ragazzi? A partire da poche e curiose risposte si è dipanata la storia del giudice Rosario Livatino, il cui messaggio e ricordo continua vivo e quanto mai attuale nella nostra società.

“È ora e aria di cambiamento”, pensava Rosario Livatino quando quella mattina uscì di casa con la sua camicia profumata e con in testa le ultime indagini in corso lasciate incomplete sulla sua scrivania.

“È ora di dare un esempio”, pensava mentre era alla guida della sua macchina.  

Il giudice Rosario Livatino, nato a Canicattì il 3 ottobre del 1952, credeva molto nel cambiamento, pur vivendo in una difficile realtà italiana del secondo dopo guerra, la provincia di Agrigento, dove tutto doveva restare uguale per volere di pochi. Ma il cambiamento inizia solo quando vogliamo cambiare e solo allora il contesto in cui viviamo si trasforma. La Sicilia di Livatino non era ancora pronta per il cambiamento, ma lui già ne percepiva l’odore e il bisogno.

Alunno diligente e motivato credeva, sin dai tempi dell’università, nel potere dell’onestà e nella giustizia. Di lui si conserva ancora la sua agendina, che portava sempre con sé, e nel giorno della sua nomina come magistrato scrisse: “Signore aiutami ad essere fedele ai tuoi insegnamenti, a quelli ricevuti dai miei genitori e dallo Stato”.

Rispettare l’altro era il suo motto di vita e ciò che ricevette in casa provò a trasferirlo nei piccoli e comuni gesti quotidiani: dall’abbigliamento sempre in giacca e cravatta, all’uso di un linguaggio semplice e comprensibile a tutti, dalla gente più umile alle più alte cariche.

Dicono che il giorno in cui due ragazzi si avvicinarono alla sua macchina e gli puntarono una pistola contro per ucciderlo disse: “picciùo ma chi vi fici”. E fu così che un’arma fredda e ignara di tutto, cancellò per sempre una vita degna di essere vissuta.

Ma cosa chiedevano quei ragazzi? Aprire una gelateria. I mandanti di quell’omicidio volevano dare un segnale forte allo stato; infatti, gli esecutori dovevano uccidere un giudice, rubargli denaro e tornare indietro con il bottino per aprire in centro una bella gelateria. La gelateria oggi esiste e il suo indirizzo lo conoscono in molti: carcere Ucciardone di Palermo n° 41Bis. È pieno di persone che si consideravano “sperti” e che ora dietro quelle sbarre sono come tori in gabbie per uccelli. In un ambiente isolato e buio non possono più sfidare nessuno, non possono entrare dove non è permesso o semplicemente non possono più decidere della vita degli altri.

E perché tanta perfezione in Rosario se poi si muore ingiustamente? Perché tanto sforzo e notti insonni se non si arriva a compire neanche 40 anni? Perché c’è ancora chi non pensa prima di premere il grilletto, chi non pensa negli sforzi fatti da persone che vogliono cambiare altruisticamente questo mondo senza ottenere premi o chiedere favori. Livatino credeva in sé stesso e ciò che più lo faceva felice era dare dignità e valore alla propria vita. Come lui tanti altri hanno dedicato la loro vita alla giustizia, tra i più conosciuti si ricordano il giudice Falcone, Borsellino e il generale Dalla Chiesa, e hanno lottato per non permettere che il male prevalga sul bene. La loro morte non ha messo a tacere nessuno piuttosto ha fatto molto rumore. È dal rumore che bisogna partire per risvegliare le coscienze assopite e credere che il loro coraggio sia servito a qualcosa. Quelle voci silenziose ci rimbombano nelle orecchie e disturbano chi vuole mettere a tacere la verità. Sono e saranno sempre, soprattutto per le nuove generazioni, esempi da seguire. Non bisogna più ripetere gli errori del passato, anche se sfortunatamente l’essere umano è l’unico animale che inciampa due volte nella stessa pietra. Bisogna da buoni cristiani andare a testa alta verso le ingiustizie e avere il coraggio di denunciare.

La paura nasce dall’ignoranza e dopo più di 30 anni dalla morte del giudice Livatino, la mafia si può arrestare parlando, informando e sensibilizzando i ragazzi a non scordare.

Fermiamoci a riflettere sulle parole di Livatino che diceva che “per essere buoni uomini bisogna essere credibili e non solamente credenti”.


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