IL GIOVANE ORESTE O L’ELOGIO DELLA MEDIOCRITA’

Massimo Maria Carpinteri, olio su tela cm.30×60 (2025)

IL GIOVANE ORESTE O L’ELOGIO DELLA MEDIOCRITA’

SINOSSI:
“Il giovane Oreste” è un racconto profondamente poetico che unisce l’introspezione personale a una riflessione universale sulla solitudine, la bellezza e la speranza. Attraverso la voce sensibile del narratore, si esprime il desiderio di comunicazione e la ricerca di senso in un mondo segnato dalla guerra, dalla perdita e dall’incomunicabilità. Il telescopio diventa simbolo di connessione tra cielo e terra, tra umano e divino, tra desiderio e speranza. Il linguaggio lirico e le domande retoriche invitano il lettore a guardare oltre il visibile. La storia commuove per il suo tono malinconico, ma illumina anche con la sua fede nella tenerezza. Nel suo insieme, il racconto emoziona per la sua sensibilità, il linguaggio simbolico e il messaggio umanista di riconciliazione e bellezza di fronte al dolore. È un racconto delicato, intimo e filosoficamente toccante.

IL GIOVANE ORESTE O L’ELOGIO DELLA MEDIOCRITA’

Vivere lassù…

Vi siete mai chiesti cos’è che rallegra le giornate in quello spazio infinito che non si racchiude dentro un cannocchiale? Io sì. Me lo chiedo molte volte quando ascolto musica e immagino che il mondo lo si potrebbe cambiare solo con delle pennellate. Quanti volti allegri ci sarebbero se sparissero il nero dei vestiti a lutto delle mamme e il rosso delle lenzuola che coprono i feriti di guerra. Mi chiamo Oreste e sono nato in un piccolo paese dell’Europa dell’est la cui economia ancora oggi si basa sull’esportazione dell’oro.

−Tu come ti chiami?

Mia madre appena ventenne lasciò la sua famiglia con me ancora in fasce. Diceva che bisognava trovare un posto dove crescere bambini forti e non riparare adulti rotti. Biondo come il mais e fragile come un biscotto di pasta frolla appena sfornato, ho appreso da lei l’arte per il bello e la delicatezza della letteratura, ma la curiosità per la scoperta l’ho sempre avuta.

−A te cosa ha insegnato la tua mamma?

Mi hanno raccontato che la mia ha rischiato di morire dopo una notte intensa di travaglio. È rimasta con me fino ai miei sette anni e poi è venuta a stare lì tra quelle luci, che forse tu riesci a toccare.

−Sai se ce n’è una più luminosa da quelle parti?

Ho iniziato a parlare a due anni e non perché non avessi niente da dire, ma volevo ascoltare un poco di più prima di aprire la bocca.

−Qual è stata la tua prima parola?

−Ma mi vedi? Riesci ad ascoltarmi? Hai lo stesso mio cannocchiale?

Mi definiscono strano perché ho smesso di elogiare i grandi, i potenti della terra per concentrarmi sulla bellezza di un tramonto o il sorriso di un bambino.

−Cosa invidi del nostro pianeta? Faresti uno scambio?

Sono salito fin quassù e anche stasera ho appoggiato su un treppiede il magico telescopio, ho sollevato i miei occhiali e ho iniziato a cercarti. Ho chiuso un occhio e concentrato tutta la mia attenzione sull’altro. All’inizio mi sono smarrito in quell’enorme cielo blu, ma poi mi sono lasciato trasportare verso l’ignoto. Sono sbucate le prime luci: alcune lampeggiavano e altre si nascondevano. Sembrava di giocare ad acchiapparello. Mi ricordavano i segnali di fumo che usavano gli indiani per comunicare messaggi ad altre tribù lontane. Non so se ti è mai successa la stessa cosa.

Mi sono soffermato a guardare e sono arrivati pure degli animali: un toro, un ariete, dei pesci e dopo aver atteso ancora un poco si sono definite eleganti figure femminili come quelle di Andromeda e Cassiopea e scultoree forme maschili come Orione ed Ercole.  Non puoi immaginare quanta allegria mi danno quelle stelle!

−Tu provi la stessa cosa?

Ho trascorso molte notti a immaginare che in quei piccoli puntini luminosi si annidino grandi amori che non conoscono la guerra. Quella strana forma di discutere che usiamo noi per mettere a tacere bambini che giocano a fare la pace.

−Hai mai visto una bomba? La sua lunga scia ha le caratteristiche di una stella cadente che non realizza un desiderio, ma consegna solo distruzione.

−Ti sei mai innamorato?

Io sì. Era un musicista. L’ho conosciuto in casa di amici e non sono più riuscito a staccargli gli occhi di dosso. Era diverso dagli altri e mi faceva ridere tanto. L’ho rivisto il giorno dopo e l’altro ancora, fino a quando ci siamo ritrovati a convivere nella stessa casa, ma con obiettivi diversi: io sognavo di stare di fronte al mare mentre lui inseguiva il successo e la fama. Niente lo appagava. Dopo uno spettacolo, già pensava al successivo. Non c’erano soste nelle sue giornate, ma solo corse.  I primi periodi accettavo le sue assenze come necessarie. Partiva per mesi e quando riuscivamo a sentirci ripeteva sempre le stesse frasi:

−Scusa tesoro, abbiamo appena finito di esibirci. Sono distrutto. Domani ti racconto.

Ma quella telefonata non arrivava mai, ero sempre io a cercarlo fino a quando una sera decisi di non farlo più, e accettai il fatto che le storie possono finire. Eravamo diventati due sinfonie discordanti di uno stesso spartito.

−Tu sei famoso?

−Esiste anche lì la smania della ragione che genera mostri?

Mi piace pensare che lì, invece, esista la mediocrità, a little life, quella via che sta nel mezzo, nell’equilibrio, nella mediazione tra gli eccessi e le privazioni. Vorrei arrivare lassù per vedere se ci sono i gatti a far compagnia alle persone o le mongolfiere a esplorare i cieli senza bisogno di ali.  Sai se un semplice abbraccio può trasformare un’offesa in un perdono e una lotta in una riconciliazione? Qua ogni giorno la vedo più difficile. Possibile che neanche stasera ti metta in contatto con me? Ehi, sto parlando con te.

−Mi stai guardando dallo stesso cannocchiale? Sei anche tu su una terrazza?

Non farmi ancora aspettare molto. Vienimi a raccontare quello che vedi tu da lassù magari riusciamo a recuperare questo mio pianeta che sta andando a rotoli. 


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *